FRERE JACQUES – ROUND ABOUT OFFENBACH

GIANLUIGI TROVESI – GIANNI COSCIA
ECM 2217

Offenbach fa parte, prima che della mia educazione musicale “seria” e cosciente, di alcuni fremiti non propriamente estetici: era, ascoltata da me adolescente alla radio, la voce di Lea Padovani che con voce voluttuosa cantava la Barcarola, una melodia da I racconti di Hoffmann. Per quanto ricordo, c’era una sorta di commedia musicale, Una mela per Elena, che metteva insieme varie melodie di Offenbach (come si vede, da una vicenda evidentemente ispirata alla Belle Hélène). Questi miei ricordi (e i ricordi dei miei fremiti) rimangono vaghi perchè, a cercare ora su Internet, non ho trovato nessuna menzione di quella vicenda. Eppure non posso essermi sognato quella barcarola. Oppure sì, perchè erano emozioni da sogno.

D’altra parte la Barcarola è tornata varie volte a nutrire la nostra nostalgia, basti pensare all’uso che ne fa Piovani ne La vita è bella di Benigni. Ma è tipico delle melodie di Offenbach di migrare fuori dei loro alvei originali, e ricordo brani della P’richole fatti rivivere dalla divina Cathy Berberian, per non dire di quante volte il can-can ci è tornato alle orecchie attraverso sue infinite citazioni e rivisitazioni.

In tutti questi casi si rivive Offenbach, un musicista che pare sia venuto al mondo per dirci che l’operetta non è arte minore ma ha la stessa dignità dell’opera.

Ebbene, chi volesse ascoltare queste “meditazioni musicali” di Coscia e Trovesi farebbe qualche fatica a ritrovare subito Offenbach. Certo, si riconoscono gli accenni alla Barcarola, forse è perchè quella che più abita la nostra memoria melodica, si sente lo spirito di Offenbach nei brani ispirati a La vie parisienne e, Offenbach o no, non si possono ascoltare le note dedicate alla P’richole senza avvertire un profumo di belle époque. Ma certamente questo non è disco da ascoltare per concedersi un disimpegnato ritorno a Offenbach.

Ho parlato prima di meditazione. Meditativo mi pare il tono in cui i due musicisti colgono un tema, forse il ricordo di un tema, senza preoccuparsi di renderlo riconoscibile, e incominciano ad intesservi una sorta di meditazione che non esiterei a definire buddistica, nel corso della quale si medita sulla musica in sè.

I nostri due amici (malgrado che anche in passato non si siano negati rivisitazioni del classico) vengono dal jazz e appare curiosa la sfida che intrattengono col modo del can-can per scivolare senza neppure farcene accorgere (o forse senza neppure volerlo, loro) nello swing o nel rythm’n’blues è non certo alla ricerca di Offenbach, forse alla ricerca di se stessi, o nella convinzione che in fondo la storia della musica va per conto suo, attraverso richiami e anticipazioni, come se fossero convinti che è se come voleva Mallarmé, il mondo è fatto per confluire in un libro (il suo, ovviamente) è ogni compositore abbia scritto per anticipare infinite musiche a venire e la loro in particolare, ovviamente.

“Spiluccare” Offenbach. Se la metafora non apparirà limitativa, queste meditazioni sono un esempio di degustazione creativa. Per il resto scelga l’orecchio dell’ascoltatore degustatore: se Piff Paff Pouff potrebbe star benissimo in un’operette fin de siècle, Et moi? No, tu no! ci mostra come si può passare quasi insensibilmente, ma per musicale necessità, dall’operetta al jazz, e de Il Fauno di Hèlène non ho identificato lo spunto offenbachiano (colpa mia) ma ne ho tratto l’impressione che sia qualcosa di delizioso in sè e tanto basti.

E a riprova di come creda appropriato il termine di “meditazione”, vorrei citare Galop. Se questa danza era per definizione movimentata e quasi anticipava la polka, nella versione Coscia-Trovesi essa d’origine a variazioni più elegiache e meditative, così che si ha l’impressione di non trovarsi tra le mille luci del Moulin Rouge, eccitati dallo champagne, ma nel buio di un night club, delibando un meno turbato e più torbato whisky d’annata, tra una malinconia di glissati.

Ma queste sono impressioni. In ogni caso alla raccolta intera darei il titolo di “Come usare liberamente Offenbach ed essere (musicalmente) felici”.

“Umberto Eco”